Essere diversi da che cosa e da chi? Ci si sottopone a un confronto sulla base di criteri stabiliti in quale modo? Nella favola “Il brutto anatroccolo” si legge bene che è la maggioranza a fare la norma: e questo è stato l’errore in cui molti di noi hanno creduto. Ci si forza a essere come gli altri solo perché gli altri sono più numerosi. È chiaro che da bambini non abbiamo gli strumento per auto-riconoscerci: sono gli adulti che si prendono cura di noi, che devono fornirci una chiave di lettura per leggere noi stessi e dari le parole e gli strumenti per capire il mondo.
Essere invisibili: il piccolo anatroccolo non viene visto per quello che è, perché viene guardato solo per quello che non è. Questo è il dramma di essere invisibile.
Costruire il falso sé: essendo fortemente sociali, noi essere umani abbiamo un bisogno vitale di essere accolti, di appartenere a un gruppo così da costruire pian piano la nostra identità. Ma per l’anatroccolo è difficile, l’unica scelta che gli rimane è essere chi non è, essere come gli altri lo vogliono. Qui comincia la costruzione del falso sé, una maschera che mettiamo per poter essere accettati e amati, perché abbiamo bisogno del riconoscimento per crescere. Ma i costi di questo processo sono altissimi. Felici e interi: l’ultima fase della favola è interessante, ma potrebbe essere fraintesa. La felicità non è essere ammirati, ma poter essere finalmente visti per ciò che siamo e quindi essere interi. È questo che ci rende felice. Essere apprezzati, valorizzati per noi significa poter essere veri. Certo, molti di noi restano per gran parte della vita con una fame di sostegno e apprezzamento, quello che non abbiamo ricevuto da bambini, ma ora, da adulti, dobbiamo essere consapevoli che abbiamo tutti gli strumenti, le potenzialità e la libertà di nutrirci come ci fa bene, di darci valore e amore, senza dover dipendere da altri, come naturalmente accadeva nell’infanzia. Cit.